Nell’esaltante mandato di provocare emozioni, Arte e Cibo sono complementari. Se l’opera d’Arte è generalmente percepita solo dai sensi – udito, vista, tatto – che sono in grado di decodificare suoni, immagini, forme tridimensionali, il gusto e l’olfatto riacquistano dignità percettiva quando esplorano l’immaginario applicato alla cucina, con il risultato che tradizionali regole sono travolte da un’anarchica genialità. Da questo risulta palese che Arte e Cucina occupano l’intero spettro sensoriale dell’attività creativa. D’altro canto il Cibo non è solo un mezzo essenziale per la sopravvivenza, ma è anche fonte di sapido benessere. Le potenzialità sinestetiche producono suggestive convergenze dei sensi: l’immagine di un piatto può evocarne il profumo o il gusto, ma un profumo può riesumare un frammento di vita. Come la lettura di un’opera d’Arte non è oggettiva, così è soggettivo l’apprezzamento del Cibo, che tuttavia ha un carattere effimero, perché la fruizione in questo caso, diversamente dalle opere d’Arte, richiede la digestione, l’assimilazione, insomma la distruzione dell’oggetto di piacere. Alcune correnti contemporanee descrivendo la precarietà del degrado di tutto ciò che ci circonda, concepiscono opere di cui nel tempo rimane solo l’idea. Ma rivive una fatale ciclicità, perché è l’idea che genera Cibo e Arte, e ne assimila le sorti. Roberto Rapaccini